Cari lettori,
la società cambia e con essa il modo di crescere delle nuove generazioni. Viviamo in un periodo storico-sociale sempre più complicato. Numerose sono le problematiche che quotidianamente si presentano nel nostro percorso. Ve n’è una che mi inquieta particolarmente. Ho conosciuto una continua metamorfosi educativa raccapricciante. Sono mamma, docente e partecipante attiva della vita sociale. Mi trovo spesso a tu per tu con generazioni diverse. Bambini, adolescenti e giovani adulti. Noto quindi, con immenso rammarico, come una piccola parola formata da due semplici lettere sia da molti di loro sconosciuta e soprattutto non accettata: “NO”. Una negazione che non viene più usata. Solo in pochi casi. Ahimè aggiungerei. Per quanto piccola è una parola che può aiutare molto. Indispensabile. Soprattutto aiuta a dare ai futuri cittadini, quei freni essenziali per non farli deragliare. Si sottovaluta che ciò che si costruisce oggi lo ritroviamo domani. È indubbio che l’educazione sia il grande motore dello sviluppo personale. Quindi necessario insegnarla fin da bambini. Purtroppo qualcosa sta cambiando. Qualcosa ci sta sfuggendo. Non riusciamo a dire no ai nostri figli per paura di ferirli o perché non vogliamo apparire poco disponibili. Ancora peggio perché temiamo il conflitto. Il risultato è che il ruolo si sta ribaltando. I genitori stanno zitti e i figli urlano contro. Ho riflettuto molto sulla difficoltà a dire no. Le ragioni saranno certamente di natura personale, anche se alcune trasformazioni di natura storica, sociologica e culturale hanno influito. Ovviamente non esiste un vademecum di regole da seguire, per “insegnare” la buona educazione ai propri figli con la certezza di avere risultati. Con i bambini si sa, non è possibile affidarsi a regole certe e matematiche. Ogni genitore dovrà trovare le sue modalità in base al carattere e all’età del proprio bambino/a. Sappiamo bene che un tempo, non tanto lontano, i rapporti erano regolati dal padre. Senza dubbio con impostazione di stampo autoritario: lui comandava, puniva, stabiliva senza possibilità di replica i sì e i no.Una volta finita l’epoca autoritaria, è diventato compito anche della madre. La prospettiva è diventata quella di stampo più accondiscendente: il figlio posto al centro di tutto. I continui no del padre si sono trasformati sempre più in sì. L’attenzione si trasforma così in una sorta di supremazia del figlio sul genitore. Certamente si fa più fatica a dire no piuttosto che sì. Bisogna affrontare le lamentele, le richieste estenuanti, i capricci, le tensioni, le urla. Ciò che oggi gli adulti faticano più di tutto a gestire è il tempo da dedicare ai figli. Prima di ogni cosa viene il lavoro (entrambi i genitori lavorano), gli amici, i passatempi, poi i figli. Dimenticando che la scelta di metterli al mondo avrebbe portato loro molte rinunce. Si rendono conto che ciò crea un enorme vuoto nella vita dei figli così cercano di colmarlo con i sì. Ogni richiesta o desiderio espresso vengono subito soddisfatti. Un modo per alleggerire la coscienza, consapevoli di non essere sufficientemente presenti con le attenzioni affettive necessarie. I ragazzi hanno bisogno di genitori consistenti, che dedichino uno spazio chiaro e definito, dove il no può essere parte consistente nel rapporto genitore e figli. Strumento importante per una sana crescita. Ė chiaro, i no che servono sono diversi a seconda dell’età dello sviluppo e rispondono a precise esigenze di individuazione. Già dalla prima infanzia bisogna abituare il bambino alla negazione, cercando di non farlo vivere come un “divieto”. Si deve abituare, in modo chiaro, immediato, ma anche rassicurante. Tra la prima e la seconda infanzia non deve essere imposto come “limite”, ma deve servire ad insegnare a gestire la frustrazione che nasce in quel periodo particolare della crescita. Nella seconda infanzia e nella preadolescenza il no non deve essere imposto come “regola”, ma deve diventare per i ragazzi la bussola per orientarsi nel mondo. Erroneamente alcuni pensano ancora che le regole siano limiti alla libertà personale. Dimenticano che ogni volta che diamo una regola creiamo uno spazio di separazione tra ciò che è consentito fare e ciò che non lo è affinché possano integrarsi nella vita sociale senza problemi. Nell’adolescenza il no non deve essere inteso come resistenza “autoritaria”, ma deve servire ai ragazzi per aiutarli a scoprire e portare avanti il proprio progetto di vita. Si tratta da un lato di mettere dei filtri, dei vincoli, perché la spinta verso l’autonomia non si tramuti in fuga da sé stessi, dall’altro per aiutarli ad accorgersi di ciò che davvero si sta facendo. È un no difficile perché si manifesta spesso attraverso la conflittualità e richiede coraggio e capacità di interrogare e interrogarsi per mettersi davvero in ascolto dei nostri figli. Non devono più esserci no imposti o calati dall’alto, ma occorre una negoziazione. È necessario vincere la “soggezione” del dire no ai priori. Ciò che bisogna essere in grado di fare è trovare la giusta misura tra il no autoritario di un tempo e quello mirato di oggi. La cosa fondamentale è che entrambi genitori adottino lo stesso metodo educativo. Quando si presenta il momento del no, mai uno dei due in qualche modo lo tramuti in sì. Questo, non solo perché è diseducativo, ma anche perché creerebbe molta confusione ai figli. Loro sono maestri nel trasformare un permesso speciale in un diritto acquisito. Purtroppo ino non detti ricadono anche nella scuola. Essendo io pure un’insegnante mi sento oltremodo coinvolta. L’istituzione scolastica, un tempo riconosciuta come luogo di formazione e di educazione, nel corso di una decina d’anni e forse più, ha perso la sua rispettabilità. Per molti è diventato soprattutto un luogo dove “parcheggiare” i propri figli, riconoscendolo luogo più sicuro rispetto la strada. Peggio ancora ritenendoci guardiani di bambini e ragazzi che non conoscono limiti alla decenza, al bon ton, alla buona educazione.Costretti a trascorrere le ore di lezione non insegnando i contenuti della disciplina ma le regole elementari della scolarizzazione, ossia di come si sta in classe e quali devono essere le regole da rispettare. Cresce in modo esponenziale la demotivazione degli insegnanti lasciati in balia di genitori aggressivi che li assediano e li screditano. Per non parlare di come sono costretti a subire l’atteggiamento di alunni sempre più ineducati e/o maleducati, due facce della stessa medaglia. I comportamenti devianti degli alunni spesso sono il substrato di una mancanza di insegnamento delle regole di convivenza civile dei figli. Dove ecco che i no non detti si identificano. Questi ultimi non avendo imparato precise norme comportamentali pensano che a scuola tutto sia lecito e permesso, come succede a casa con i genitori, dimenticando che la scuola è una comunità educante. Quotidianamente in classe si assiste ad atteggiamenti altezzosi, arroganti e violenti di alunni che rispondono male. Utilizzano parole pesanti ed offensive della dignità e della reputazione dell’insegnante. Per loro tutto risulta normale, come se in quel momento si stessero rapportando con i genitori e i nonni. Il docente, nel suo ruolo, non può servirsi di nessun mezzo per mettere ordine o riguardare l’alunno indisciplinato. Le note non servono più perché totalmente ignorate sia dagli alunni che dai genitori. I docenti si ritrovano così con armi spuntate, quindi senza strumenti difensivi. Non trascuriamo poi il fatto che quest’ultimi sono oggetto di continue richieste da ultima spiaggia, finalizzate a deresponsabilizzare sempre più le famiglie. Chi sta ai vertici, compresi i DS, non lo percepiscono o lo sottovalutano. Restano aggrappati a teorie che hanno prodotto la distruzione della scuola. Avvallano idee cognitivistiche che esistono solo sulla carta e non hanno ricadute efficaci nella realtà. Hanno tolto ai docenti la spontaneità educativa che aveva il suo peso e otteneva buoni risultati. Si è venuta a creare dunque una gran confusione nei ruoli. Chi sostiene che l’insegnante deve essere soltanto colui che trasferisce sapere al discente e chi sostiene che deve essere anche educatore, ma non gli viene data la possibilità di esserlo. Dimenticano che la scuola deve restare luogo di formazione, di accompagnamento al processo educativo e cognitivo degli alunni.