A cura di Francesco Longobardi
La criminalità minorile legata alle baby gang è diventata un argomento all’ordine del giorno; i dati statistici confermano, purtroppo, un aumento dei casi di microcriminalità, intesa come insieme di atti violenti compiuti da minori organizzati in gruppi.
Ma quali sono le cause che conducono a una simile escalation di violenza tra giovanissimi?
Dall’intenzione di emulare i crimini commessi dagli adulti al desiderio di andare contro le regole sociali, fino al semplice piacere provato nel prendere in giro chi è ‘diverso’, nel lessico, nel vestiario o nelle fattezze fisiche: queste le principali e più comuni motivazioni che spingono i giovani, talvolta addirittura bambini, ad adottare una condotta antisociale.
Questi giovani possono dar vita alle cosiddette baby gang, sviluppando e diffondendo nei contesti urbani la microcriminalità. Non tutte le attività giovanili antisociali sono riconducibili al concetto di baby gang, che presenta specifiche caratteristiche, differenziandosi da altre aggregazioni. Ogni gruppo, a prescindere dalle regole, dagli usi e dai comportamenti rappresenta un habitat privilegiato, dal momento che il ragazzo investe gran parte del suo tempo, acquisisce sicurezza e stima di sé, sperimenta una serie di ruoli di carattere sociale e sessuale, apprende il significato di cooperazione e competizione, e assimila valori, credenze ed atteggiamenti tipici di quel gruppo.
Il continuo scambio con i coetanei facilita nell’adolescente il passaggio dall’infanzia all’età adulta, nell’ambito di una fase di transizione, di cambiamenti fisici, psicologici, cognitivi e sociali. Attraverso il gruppo, il giovane matura un’identità collettiva e allenta la sfera di controllo degli adulti, avviando un processo di emancipazione dai propri genitori. In questo periodo può esser rivisto e messo in discussione il rapporto con le regole educative e sociali, determinando l’attuazione di comportamenti trasgressivi e antisociali. Se tali condotte permangono, si parla di stabilizzazione della devianza, intesa come quella trasgressione rilevante e reiterata alle norme convenzionali condivise, così rilevante da far scattare una reazione sociale. Proprio di fronte a questi scenari, diventa fondamentale, per le Istituzioni, per la scuola e per la famiglia, attuare strategie di intervento, volte sia a fare prevenzione sia a rieducare e reinserire socialmente il minore.
Le peculiarità del gruppo
Le baby gang sono gruppi auto formati, composti principalmente da giovani, ma possono includere anche adulti. Rispetto ad altre aggregazioni giovanili, sono guidate da un leader, hanno una gerarchia interna ben definita, usano particolari simboli di comunicazione, presentano un forte senso di appartenenza, controllano uno specifico territorio o commercio, e coinvolgono la collettività nel crimine. La commissione del reato da parte del gruppo non caratterizza soltanto i tempi moderni. Le prime bande, infatti, sono sorte a Genova nei primi anni Novanta, composte da ragazzi sudamericani, approdati in Italia con le loro madri. Per loro il gruppo rappresentava la possibilità di trovare una radice comune ed una guida per affermarsi in un paese straniero. Negli anni, il fenomeno si è espanso in molteplici città italiane, non riguardando più soltanto i minori stranieri, ma anche gli italiani che, con modalità tipiche della banda, realizzano estorsioni, spaccio di stupefacenti e rapine su scala locale.
Le norme che regolano le baby gang privilegiano l’uso della violenza in diverse situazioni: per risolvere una disputa, per difendere l’identità dei componenti e l’onore del gruppo, per espandersi e proteggere il territorio, per raggiungere obiettivi, anche relativi al reclutamento dei membri (ad esempio, le fasi di iniziazione ad un gruppo in cui l’atto violento serve ad intensificare i legami). Spesso questa violenza entra anche nel mondo della scuola, in cui gruppi organizzati di giovani molestano, picchiano non solo i loro coetanei ma anche gli stessi professori. Ciò rende il confine tra baby gang e bullismo sempre più indefinito, poiché le azioni di prevaricazione di gruppo si trasformano in minacce, rapine, e altri reati quali percosse, violenze fisiche, psicologiche, sessuali, estorsioni, ecc.
Interventi di tutela
Quando si compie un fatto sanzionabile penalmente, quindi un atto contrario alla legge, ovvero quando si commette un reato, si passa dalla devianza alla criminalità. La criminalità giovanile può essere:
Fisiologica, è strettamente legata alla fascia evolutiva dell’adolescenza e destinata a riassorbirsi con l’ingresso nell’età adulta (la commissione di piccoli reati, i cosiddetti “mickey mouse crimes”);
Patologica epidermica, ovvero quando il ragazzo è coinvolto nella criminalità organizzata e compie gli “Street crimes”, ossia spaccio di droga, contrabbando, lotto clandestino, furti, rapine, ecc.;
Patologica endemica, riferita ai minori stranieri che, vivendo in contesti sociali segnati da marginalità, conflitti culturali, disadattamento, deprivazione, sono indotti al crimine in età precoce.
Le azioni devianti e criminose attuate dalle baby gang possono divenire oggetto di un procedimento penale se il minore autore di reato abbia compiuto i quattordici anni e dimostri la capacità di intendere e volere, ossia un adeguato sviluppo intellettivo, e una sufficiente autonomia nel porre in essere atti volontari. La pena inflitta è tesa al recupero del minore, nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, che sottolinea la funzione rieducativa della pena nei confronti del condannato. Nello specifico, il DPR 448/88, recante “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, fornisce uno strumento per modellare la disciplina del processo ordinario in maniera tale da renderlo compatibile con la tutela della personalità del minore ancora in via di formazione, con l’obiettivo di rieducare e reinserire socialmente il ragazzo, lasciando la sanzione penale come ultima ratio. Quindi, le Istituzioni da una parte sono tenute a proteggere la minore età attraverso l’adozione di misure non invasive, dall’altra hanno il dovere di rispondere adeguatamente all’atto criminale del ragazzo.
In conclusione, per il successo dell’intervento riabilitativo è fondamentale precisare che le finalità di rieducazione e recupero del minore “deviato”, previsto dalla disciplina penalistica, non possono prescindere da un’adeguata azione che si concentri sui fattori di rischio e di protezione della devianza, attraverso la sinergia tra Istituzioni, famiglia e scuola, tale da attivare anche una vera e propria prevenzione del fenomeno.