I recenti episodi di bullismo nelle scuole hanno riacceso il dibattito sull’influenza dell’ambiente e soprattutto delle nuove tecnologie nei confronti dell’educazione di adolescenti e ragazzi. La realtà è davanti agli occhi di tutti: da una parte alunni sempre più aggressivi e spesso violenti che si rivolgono agli insegnanti con fare arrogante, dall’altra genitori sempre più stressati e spesso demotivati nel loro ruolo di educatori.
A cura di Francesco Longobardi
Una società individualista che gonfia di presunzione il singolo togliendo valore alla collettività.
Ma come si è giunti a questo punto? Quali sono i semi di una decadenza che sembra inarrestabile? E, soprattutto, c’è modo di tornare indietro?
Dal rispetto al permissivismo
Non bisogna andare molto indietro per rendersi conto che le cose sono cambiate in fretta: fino a poche generazioni fa, la famiglia era custode dello scrigno di valori che permettevano al bambino di diventare un uomo indipendente e sano. La scuola rappresentava la principale fonte di acculturamento con il suo bagaglio di considerazione e autorevolezza che nessuno avrebbe mai pensato di mettere in discussione.
I figli crescevano sotto l’ombra di genitori che erano punti di riferimento inoppugnabili.
E oggi?
Nel ventunesimo secolo non ci sono più punti fermi: i genitori non sono capaci di gestire figli ribelli, gli insegnanti hanno perso autorevolezza, il punto di riferimento del sapere è passato dalla scuola a internet.
Ma cosa sta accadendo all’uomo digitale e soprattutto ai giovani?
Adulti insoddisfatti e fragili, lontani dai bisogni dei figli
L’avvento di internet con il suo carico di stimoli immediati e rapidi – spesso infondati e contraddittori – che appaiono e scompaiono nel tempo di un click, disgregano la realtà circostante togliendoci la possibilità di elaborare una visione della vita unitaria e coerente.
Ciò genera un disorientamento che porta con sé un bagaglio di ansia e angoscia spesso non sostenibile.
Gli adulti di oggi sono insofferenti, frustrati, emotivamente fragili e distanti dai bisogni dei figli.
La loro fragilità non li rende capaci di fornire ai figli punti di riferimento emotivamente stabili perché bloccati in quel limbo di giovinezza mai conclusa.
Come possono genitori patologicamente infantili insegnare ai propri figli a diventare adulti?
Scuola: sapere senza anima
Dalle bacchettate e le punizioni dietro la lavagna siamo passati rapidamente alle scuse degli insegnanti per un rimprovero di troppo.
Educare è un processo che coinvolge la sfera globale dell’individuo nei suoi aspetti intellettivo, morale, etico e sociale.
La scuola ha perso ognuna di queste funzioni a causa di un declino di autorevolezza giunto dall’alto delle istituzioni che si accompagna a un crollo idealistico della figura dell’insegnante.
Il docente, che prima era fonte di apprendimento e stimolo intellettuale e sociale, è diventato un’anonima e indistinta tappa nel percorso scolastico: nessun supporto da parte della famiglia che, al contrario, scredita il comportamento dell’educatore ampliando un’ostilità di cui lo studente fa il suo punto di forza.
Di fronte a tanta arroganza e presunzione, il docente tipo si è rifugiato in un ruolo meccanicistico di trasferimento di informazioni, non differente da un download dalla rete. Nessun coinvolgimento, nessun confronto solo il semplice attenersi al programma tentando di restare nei limiti che la società impone.
Stile “adultistico” per bambini e adolescenti
In un clima instabile e contraddittorio come quello attuale, i bambini e gli adolescenti sono disorientati.
Il permissivismo dell’ambiente familiare, la mancanza di limiti in quello scolastico, il consumismo che li rende target prediletto, rendono difficile negli adolescenti l’attecchimento di quel senso di giudizio e di critica che dovrebbe accompagnarli nel passaggio all’età adulta.
Nella fase dell’adolescenza dove ogni certezza infantile crolla per un processo naturale e inevitabile, la nuova società non fornisce punti di riferimento essenziali affinché gli adolescenti acquisiscano autostima e capacità di critica morale. Sopraffatti dall’apparenza del mondo virtuale, i ragazzi di oggi sono vittime del giudizio della rete, la grande madre collettiva a cui affidiamo la componente più plastica e fragile della nostra società.
Dissolto il mondo protettivo della famiglia e della società, i bambini e i ragazzi affidano emozioni, insicurezze e dubbi al mondo virtuale che in cambio amplifica il senso di solitudine e incomunicabilità alimentando insicurezza e spesso disagio mentale.
La moda del selfie riflette l’etica dei giovani di oggi: un Io prepotente costruito sulle palizzate dell’apparenza pronto ad amplificare il suo potere effimero attraverso l’immagine esteriore, unico veicolo di comunicazione in un mondo – quello virtuale – dove l’esistenza del singolo è subordinata al giudizio della collettività.
Il risultato è quello di formare eterni Peter Pan insicuri e timorosi della libertà.
Il quadro descritto è quello prevalente di una società consumistica che fa dell’individuo un soggetto commerciale da sfruttare. È chiaro che, per fortuna, esistono genitori consapevoli del loro ruolo e capaci di instillare nei figli il germe dell’educazione e del rispetto. Così come esistono insegnanti che fanno della loro professione una missione da compiere nonostante le enormi difficoltà che la massa pone. Sono queste le persone che i bambini ricorderanno sempre come insegnanti di vita.
Come evitare tutto questo?
Educare vuol dire in primo luogo educarsi. I genitori hanno il compito difficile e gratificante di fungere da modello per i propri figli facendo di se stessi un esempio da imitare: un processo lungo e complesso che deve partire sin dai primi mesi di vita.
Cosa manca ai bambini di oggi per sentirsi felici? Quali strategie possono attuare i genitori per permettere la crescita dell’autostima e dell’autonomia nei propri figli?